“Mancano cibo e acqua, ma preghiamo Dio perché converta i cuori dei violenti. Manca tutto, ma non la fede: qui Gesù ci protegge.”
Il giorno di Pasqua è uscita su Il Sussidiario un’intervista a P. Gabriel Romanelli, parroco di Gaza. Ne riportiamo di seguito alcuni stralci, ricordando che Orizzonti sostiene direttamente la parrocchia cattolica della Sacra Famiglia di P. Romanelli attraverso l’Associazione Pro Terra Sancta.
A Gaza sembra che non ci sia limite al peggio, dopo la tregua si è tornati alla guerra. Come affronta la comunità cristiana questa situazione?
Per i cristiani in Medio Oriente, non soltanto a Gaza, la fede è veramente un punto di riferimento, spirituale ed esistenziale. E le parrocchie sono un luogo di ritrovo e d’incontro fondamentale. In questo momento questo discorso vale ancora di più. Nessuno oserebbe, tra i cristiani, rimproverare Dio per quello che sta succedendo. Anzi, succede il contrario: si sentono protetti da Gesù.
Quando all’inizio della guerra, nell’ottobre 2023, la gente ha ricevuto l’indicazione di sgomberare le case, si è detta: “Non c’è nessun luogo sicuro in tutta la Striscia di Gaza, andiamo da Gesù”. E sono rimasti qua, nella nostra parrocchia.
Quante persone avete ospitato?
In un certo momento il numero dei rifugiati era superiore a 700. Adesso, contando i bambini e le anziane di Madre Teresa, le persone con disabilità, che sono musulmane, all’interno del nostro compound siamo all’incirca in 500. Quindi la fede è un punto di riferimento. E le preghiere sono il termometro di questa fede enorme. Ogni giorno si prega tre o quattro ore in chiesa, in silenzio davanti al Santissimo Sacramento. Poi ci sono la Messa, il rosario. E non partecipano soltanto gli anziani, gli adulti, ma anche i giovani, gli adolescenti, i bambini; tutto questo ci dà veramente molta forza, anche se non ci toglie la sofferenza e il dolore di essere in un momento di guerra.
Come si sta muovendo la parrocchia in un periodo di così grande difficoltà?
Cerchiamo di sostenere le persone, di aiutare tutti, grazie al Patriarcato latino di Gerusalemme, la nostra diocesi. Non abbiamo aiutato solo i cristiani, ma anche migliaia di famiglie di musulmani che vivono intorno alla chiesa.
Come rispondete alle esigenze delle persone, proprio ora che non arrivano più aiuti?
Siamo riusciti ancora una volta a purificare dell’acqua di un pozzo. Però ce n’è un grande bisogno in tutta Gaza. La cosa più importante, tuttavia, è che i responsabili di questa situazione diano veramente un segno di speranza, di vera speranza, affinché questa gente possa vivere, e non solo sopravvivere, nella sua terra, che è Gaza.
Quanto sono intensi i bombardamenti?
I bombardamenti sono quotidiani, si sentono notte e giorno, alcuni hanno colpito molto vicino, a 200-300 metri da noi: qualche scheggia è arrivata anche qui. La terra trema tante volte. Noi, comunque, per adesso stiamo bene.
Vi arrivano gli aiuti?
L’ultimo carico ci è arrivato prima che finisse il cessate il fuoco, grazie al Patriarcato latino. L’abbiamo distribuito alle famiglie del quartiere, raggiungendone più di 20mila. Ma è stato più di un mese fa. Adesso qui le persone razionano tutto. Ci sono centinaia di migliaia di persone che hanno bisogno assolutamente di tutto, tantissimi nella città di Gaza che vivono con una tenda per la strada.
Con i viveri che avete adesso fino a quando potrete resistere?
Non saprei dirlo, dipende. Noi distribuiamo quello che abbiamo non soltanto alle 500 persone che sono qua dentro, ma anche alle persone che sono fuori. Già questo è un miracolo, però non sappiamo la cifra esatta dei giorni per i quali ci basterà il cibo. Speriamo solo che arrivi la tregua, che è necessaria per tutti.
Nella Striscia la comunità cristiana come convive con quella musulmana?
Il legame fra cristiani e musulmani è molto forte a Gaza e in Medio Oriente. La Chiesa cattolica, nonostante il numero esiguo di fedeli (135, religiosi inclusi; gli altri cristiani sono greci e ortodossi), gestiva tre scuole, con 2.200 alunni, la maggior parte musulmani.
Nella Striscia ci sono una decina di cliniche della Caritas, del Patriarcato latino… Prima della guerra, grazie alle cliniche, sono state raggiunte 20mila persone. Grazie a Dio, insomma, la Chiesa ha aiutato decine di migliaia di persone.
Come riuscite a celebrare la Pasqua in questa situazione?
Le celebrazioni della Pasqua sono molto sentite, nonostante il dolore nell’anima. Allo stesso tempo, sappiamo che la forza del Signore ci aiuta a rimanere saldi nella vera speranza, nella vera carità, aspettando che accolga le buone intenzioni delle nostre preghiere e che converta i cuori dei responsabili delle parti in causa: bisogna arrivare a una tregua, una situazione così non è accettabile.